Non c’è scampo per Moby Dick
Collisioni e rumori: le navi sono un nemico mortale per le balene. E poi le reti. Una strage che non si ferma, futuro a rischio.
Martedì 25 giugno per la biologa Regina Asmutis-silvia è stato un brutto giorno, terribilmente triste.
Da più di vent’anni si dedica alla salvezza di un tipo di balena, la balena franca del Nordatlantico, una specie in imminente pericolo di estinzione, ne restano 411 e martedì due esemplari sono stati trovati morti nel Golfo di S. Lorenzo (CA).
Nel solo mese di giugno, il numero dei soggetti si è ridotto di più dell’1%; oltre alle due del Golfo di S. Lorenzo, altre quattro balene sono state trovate morte: Punctuation, Wolverine, Comet e una quarta senza nome. “ Sinceramente, non ho parole”, ha dichiarato Regina Asmutis-silvia, “È devastante. Ora c’è più gente che lavora sulle balene franche di quante ce ne siano.”
Il nome balena franca del Nordatlantico è la traduzione dell’inglese North Atlantic Right Whale, “right” cioè “giusta”, nome dato dai balenieri poiché preda di valore per la grande quantità di olio e di fanoni, utilizzati per corsetti, fruste da calessi, stecche per ombrelli e per altri oggetti vari. Lenta e docile era facile da cacciare e per il suo spessore di grasso galleggiava dopo morta consentendo l’utilizzo di piccole imbarcazioni, senza necessità di issarla a bordo.
Le popolazioni di queste balene furono decimate, quasi estinte. Con il divieto di caccia introdotto a livello globale nel 1937 le popolazioni si sono stabilizzate, ma mai sostanzialmente riprese e dal 2010 è ricominciato il declino. La ritardata maturità sessuale delle femmine, intorno al decimo anno, e la lunga gestazione sono fattori che determinano la fragilità della specie e che la rendono particolarmente vulnerabile agli insulti dell’uomo. Per mantenere la popolazione stabile le morti dovrebbero essere meno di una all’anno o si dovrebbe evitare ogni anno la morte di due femmine.
I principali fattori che mettono a repentaglio la specie sono le collisioni con le navi e l’aggrovigliamento nelle reti da pesca, ma anche il rumore prodotto dalle navi, i cambiamenti climatici e la plastica.
Collisioni con le navi e aggrovigliamenti nelle reti, sono termini con una dose di eufemismo, che smentisce l’orrore delle ferite che infliggono. In uno studio pubblicato la settimana scorsa dal team della veterinaria Sarah Sharp, per 38 delle 44 balene franche del Nordatlantico, di cui è stato possibile determinare le cause, la morte era dovuta a collisioni e aggrovigliamenti. Sei delle balene che il team aveva studiato avevano i loro crani fratturati dalle navi. Tre avevano le spine dorsali spezzate. Sei sono state lacerate da eliche. Un balenottero ha avuto la sua intera coda amputata. Una balena è sopravvissuta allo scontro con un’elica, ma 14 anni dopo, quando era incinta, la presenza del feto ha causato la rottura delle cicatrici, causando un’infezione mortale.
Gli aggrovigliamenti non sono da meno. Le corde della rete che avviluppano la balena, nel tempo, lacerano pinne, teste, code e persino i fanoni all’interno della bocca, causando morti lente e dolorose.
Punctuation (trad. Punteggiatura), aveva 40 anni e aveva già incontrato le navi.
Si chiamava così per le cicatrici in testa, che ricordavano virgole e trattini, era madre di otto balene e nonna di almeno due: un enorme successo riproduttivo, fondamentale per una specie in declino costante. I risultati della necroscopia hanno indicato che Punctuation è morta dopo l’ultimo incontro con una nave.
(ndr: la balena bianca Moby Dick, di H. Melville, in realtà era un capodoglio)
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